43
di Giovanni Alpa
Lo scorso 24 giugno, passeggiando per Albisola Superiore, la vecchia Alba Docilia riportata nella “Tabula Peutingeriana” dell’ Impero Romano, abbiamo colto l’ occasione per visitare la bottega
d’ arte del Maestro Francesco Guarino, un prestigioso ceramista in grado di decorare a mano tutto quanto da lui prodotto in quell’ attrezzato laboratorio la cui vetrina potrebbe essere paragonata ad un giardino fiorito.
In tale vetrina si possono ammirare piatti, vassoi, arborelle di varie dimensioni, utili per riporvi le spezie…, paesaggi riportati da mano sapiente su base di ceramica, nonché varie rappresentazioni di arte sia sacra che profana.
Tutte le decorazioni sono state diligentemente eseguite dal Maestro Francesco Guarino che in quella bottega esprime tutto il suo talento di vero e proprio artista.
L’ uso, scelto e voluto, del termine bottega, non è affatto casuale. Potremmo anche chiamarla studio ma tale parola allontanerebbe dalla tradizione delle botteghe in cui, in quel periodo storico a cavaliere fra il Medio Evo e l’ Evo Moderno, espressero tutto il loro talento, quei maestri come Benciveni di Pepo, più noto come Cimabue, alla cui scuola si formò il giovane Angiolo di Bondone (Giotto…).
In quel periodo storico, nelle botteghe, si espresse tutta l’ arte di vere e proprie stelle polari della cultura italiana, come nel caso di Paolo Di Dono, descritto secoli dopo da Giovanni Pascoli, quale Paolo Uccello, colui che “dipingea sul muro un monachino che tenea nell’ occhio…”.
Questi artisti che espressero il loro talento in quelle botteghe, il più delle volte non vennero compresi né apprezzati.
E’ il caso di Cimabue che dipinse “Il Cristo deriso” e dopo la sua morte, tale opera venne trattata alla stregua di un bozzetto schizzato da un mestierante. Fu così che a Compiègne, nei dintorni di Parigi, una signora se lo ritrovò in cucina. Chi sa, quanti anni anni prima, questa opera d’ arte era stata venduta o regalata a qualche suo avo…
Siamo già negli Anni Dieci del Duemila e questa signora decise finalmente di far valutare il dipinto a cui verrà successivamente attribuito un valore iniziale di diversi milioni di euro che, in successiva sede d’ asta, venne portato a ben 24 milioni.
Visitando la bottega del Maestro Guarino, non possiamo, magari anche fantasticando, omettere alcuni paragoni: siamo certi che Francesco Guarino non possa essere paragonato a giganti dell’ arte quali Filippo Brunelleschi o Donatello? Siamo certi che dato il momento di ristagno culturale in cui versa la nostra Italia, maestri d’ arte come Francesco, non siano ignorati perché completamente incompresi? Siamo certi che fra duecento anni, ad una madonnina decorata dal Guarino, non venga attribuito un certo valore artistico?
A questi punti, riteniamo doverosa una precisazione: l’ arte e il lavoro dovrebbero essere coniugabili e non possiamo che augurarci che presto o tardi, il Popolo Italiano si liberi dei vari Romolo Augustolo e si affidi a donne e ad uomini di cultura, in grado di comprendere quanto l’ arte possa costituire Lavoro e che tale lavoro possa essere una risorsa, propria di questa nostra “terra dei padri” che avrebbe tutti i titoli per fare dell’ arte, uno dei motori della sua economia.