Bob Dylan tra filosofia e tournee. Il nuovo libro del menestrello americano

di Guido Michelone

I rapporti tra Bob Dylan e il Norditalia occidentale risultano abbastanza frequenti se si pensa che il grande cantautore
americano, nel corso degli ultimi quarant’anni, si esibisce via via a Torino, Genova, Aosta, Sanremo, Alba. Per il 2023
il cosiddetto menestrello di Duluth (paese natale nel Minnesota) prevede una sola data lungo il Belpaese, il 30 giugno a
Roma, e quindi i numerosissimi beniamini da Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta dovranno organizzare una bella trasferta
in auto, pullman, treno o aereo, oppure accontentarsi di riascoltarlo su disco o in video. Ma c’è un’altra nuova
possibilità di avvicinare Bob Dylan: ed è quella di leggere il suo recente libro, il terzo dopo il romanzo Tarantula
(1971) e il saggio Chronicles Vol.1 (2004), ossia il semi-autobiografico Filosofia della musica moderna
tempestivamente tradotto e pubblicato da Mondadori nel novembre scorso. Il titolo ‘impegnativo’ farebbe pensare a un
saggio di estetica o di musicologia, ma a sfogliare il bel corposo volume si capisce subito che risulta ben altra cosa,
ovvero un diario sentimentale, un viaggio nella memoria, una vicenda molto americana mediante la scelta di 66 canzoni
da Dylan molto amate e quindi commentate alla propria maniera, con il piglio scanzonato dell’artista maledetto, ma
intelligente, colto, persino autoironico.
Si tratta di un libro che conferma le doti scrittore di Dylan, del resto già gratificate sette anni fa addirittura con il Premio
Nobel per la Letteratura 2016, dall’Accademia svedese, rivolta però a premiare il folksinger, ovvero l’autore/intgerprete
dei testi (e delle musiche) di centinaia di canzoni di alto profilo artistico. Quel profilo artistico che sembra tradotto in
Filosofia della musica moderna con brani più o meno noti di sicuro artigianato, piuttosto che in intellettualistica ricerca
estetica. I 66 pezzi commentati da Dylan appartengono infatti al repertorio pop e country degli Stati Uniti: solo quattro
sono melodie straniere, tre inglesi e una italiana. E quale può essere l’unico ‘inno’ tricolore? Lo si può dedurre
facilmente dalle altre scelte: circa la metà delle moderne canzoni appartiene agli anni Cinquanta del XX secolo quando
Dylan, nato nel 1941, da bambino diventa adulto, un adulto precoce che a 17 anni scappa di casa per andare a cercare
fortuna a New York, il ‘centro del mondo’. E cosa trasmettono per molte settimane le radio newyorchesi in quel lontano
1958? Trasmettono Volare (Nel blu dipinto di blu) scritta e interpretata da Domenico Modugno, vincitrice del Festival
di Sanremo e, al momento, ancora l’unica italiana a scalare il primo posto delle classifiche statunitensi. Per Volare
Dylan non ha che parole d’elogio o lo stesso dicasi per i brani di ogni altro musicista prescelto, che vanno quasi a
comporre un abbecedario sonoro in un volume oltretutto ricchissimo l’immagini d’epoca (foto, manifesti, quadri,
locandine) selezionate da Dylan medesimo per rappresentare un immaginario collettivo ormai condiviso in tutto il
Mondo.

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