di Guido Michelone
Mai come in questa settimana tutti i media – giornali, radio, televisioni, social – si stanno occupando del Festival di
Sanremo che, da martedì scorso, tiene banco fino a domenica mattina: più passano gli anni e più aumenta, grazie ai
mezzi di comunicazione, la mole di commenti e giudizi spesso inutili, puerili, lapalissiani, su un’iniziativa che serve più
a valorizzare lo spettacolo televisivo che la qualità della canzone italiana, a scapito nelle intenzioni originarie di ben 72
anni fa, quando Amilcare Rambaldi nella Città dei Fiori organizza una gara fra orchestrine per rilanciare il turismo in
una Riviera che deve riprendersi dai danni della seconda guerra mondiale. Poi il Festival di Sanremo cresce e nel 1958
con Volare (Nel blu dipinto di blu) lancia una moderna melodia e un immaginifico cantautore (Domenico Modugno) in
tutto il mondo. E lungo i favolosi anni Sessanta da Una lacrima sul viso a Quando quando quando, da Non ho l’età a Il
ragazzo della via Gluck le canzoni della manifestazione, promosse o bocciate, spopolano ovunque. Poi è crisi e poi
ancora rinascita con qualche bella canzone: Per Elisa, Vita spericolata, Il clarinetto, Uomini soli, non sempre capite
dalla giuria.
Ma il Festival di Sanremo non arretra più, anzi continua a ingrossarsi, risultando spesso un macchinone pacchiano,
di cui però non si può che parlar bene a livello ufficiale. E la voce che circola maggiormente è quella che ogni italiano
confessa al proprio amico di non vere più la manifestazione in tivù da anni, mentre i dati statistici lo smentiscono
clamorosamente, quasi che in pubblico siano vietati commenti e giudizi in negativo. In tal senso è preoccupante (e
scarsamente educativo che i media ufficiali censurino di fatto le voci critiche di giornalisti, studiosi, intellettuali che
vogliano dissentire ad esempio dal modo di condurre di Amadeus o Morandi o da come si presenta vestita la bassista
dei Maneskin, gruppo ospite durante la terza serata (e vincitore nel 2021 con Zitti e buoni). E proprio i Maneskin
risultano indirettamente oggetto di una polemica di qualche settimana fa, che ora vale la pena riprendere per constatare
quanto sia oggi limitato l’orizzonte artistico-culturale dell’Italia attuale.
Fanno infatti il giro nel mondo le esternazioni del violinista classico Uto Ughi che parla appunto del gruppo rock in
termini di “insulto alla cultura e all'arte”, salvo poi ritrattare parzialmente, alcuni giorni dopo. Ora il mondo della
musica colta (o dotta o seria che dirsi si voglia) è da sempre refrattario o schierato contro tutta l’altra musica, soprattutto
da fine Ottocento oggi; in particolare è un’ostilità riguarda soprattutto i grandi interpreti dai solisti ai virtuosi, dai
direttori d’orchestra ai cantanti d’opera, salvo rarissime eccezioni (Pavarotti and friends docet). Più versatile appare
invece la posizione dei musicisti autori, soprattutto i più radicali, avanguardisti, sperimentatori, davvero incuriositi dalle
novità evidente estranee agli abitudinari: un giovane compositore, Lamberto Curtoni, infatti in questi giorni sta
scrivendo l’opera Raffa in the Sky, dedicata appunto alla figura di Raffaella Carrà, per tutti la ‘Raffa’. Però, intanto,
tranne qualche coraggiosa testata nessuno che chieda a un Ughi o a un Curtoni pareri e giudizi su Sanremo 2023. Se ne
riparlerà presto da queste colonne.