Cucina musicale ligure, il pesto

di Marco Ghiglione

www.marcoghiglione.eu

 

Inizio con questo articolo una collaborazione con de Il Giornale del Limonte , questa bellissima e
stimolante iniziativa nella quale mi ha coinvolto il buon Massimo Iaretti. Io sono un
musicista pensionato (forzatamente, per limiti di età) e, senza stare qui a tediarvi con la
narrazione delle mie passate gesta, se proprio siete curiosi potete visitare il mio sito
www.marcoghiglione.eu.
Mi occuperò di musica, soprattutto di interesse ligure e piemontese a vario titolo, e
molto spesso di ricerca di composizioni dimenticate e degne di essere ricordate, riunite
per argomento. Mi è apparso molto simpatico iniziare con un argomento
apparentemente divertente e semplice: la cucina ligure, cercando e trovando brani
musicali dedicati alle sue ricette ed ai suoi ingredienti, facendo anche un’incursione
nella filatelia, mio hobby fin da quando ero ragazzo.
Ho deciso di cominciare con una ricetta famosa in tutto il mondo: il pesto, che ognuno
dei miei lettori conoscerà bene, ricetta particolarmente utile in questo periodo (siamo
agli inizi del mese di ottobre 2022) in quanto preparata a freddo, senza necessità di
gas, particolarmente caro e raro per motivi bellici e speculativi, ed energia elettrica,
anch’essa attualmente non economica. Tralascio le mie considerazioni politiche sulla
situazione, che secondo me si sarebbe benissimo potuta evitare, e passo
all’argomento.
Innanzitutto la ricetta del pesto, anche se qualcuno potrebbe contestarla, visto che
percepisco alcune diversità di opinione sulla sua composizione. Per non sbagliare,
riporto quella ufficiale del Consorzio del pesto genovese di Genova, a sua volta riportata
da un sito di cucina genovese. Eccola, un po’ sintetizzata, con tanto di prolusione:

Pesto genovese o Pesto “alla” genovese?

Partiamo innanzitutto con la definizione corretta perché in commercio, con la dicitura di
pesto “alla” genovese, spesso si trova di tutto: pesto preparato con l’aggiunta di
ricotta, anacardi, olio di semi e molti altri ingredienti che poco, anzi nulla hanno a che
fare con la nostra salsa. E’ proprio quel “alla genovese” che deve mettervi in guardia e
portarvi a leggere bene l’etichetta del prodotto, perché “alla” in questo caso vuol dire
tutto e niente.
Solo “PESTO GENOVESE” indica la vera ricetta del pesto tradizionale con i 7
ingredienti contemplati dal Consorzio e garanti di un antico retaggio regionale. […]

La ricetta del Pesto genovese
Ingredienti per condire 600 grammi di pasta
Basilico genovese DOP – 50 grammi di basilico a foglia piccola
Olio extravergine d’oliva (possibilmente della Riviera Ligure) – mezzo bicchiere
Parmigiano Reggiano DOP – 6 cucchiai da cucina
Pecorino DOP (Fiore Sardo) – 2 cucchiai da cucina
Aglio – 2 spicchi
Pinoli (da Pinus Pinea mediterraneo) – 1 cucchiaio
Noci (da Juglans Regia europea) – facoltative, in sostituzione dei pinoli

Sale grosso – qualche grano

DILEMMA FREQUENTE DEI “NON GENOVESI” E’ L’AGGIUNTA DI PATATE E FAGIOLINI
La loro aggiunta nell’acqua bollente insieme alla pasta è un classico per servire e
confezionare il piatto secondo l’antica tradizione genovese. Tra l’altro l’uso della patata a
tocchetti che cuoce insieme alla pasta è un modo per addizionare ulteriormente di amido
l’acqua contribuendo alla cremosità del risultato.

UN’ULTIMA RACCOMANDAZIONE…

La lavorazione del Pesto Genovese deve avvenire a temperatura ambiente e deve
terminare nel minor tempo possibile per evitare problemi di ossidazione. Oggi, nell’era
della fretta, per fare un buon Pesto Genovese si usa anche il frullatore, ma la migliore
soluzione è sempre quella… “all’antica”!!!

COME SI FA IL PESTO GENOVESE

Occorrono un mortaio di marmo e un pestello in legno, tanta diligenza e pazienza […]
Chi avesse piacere di leggere il testo completo può visitare il sito

Ricetta ufficiale del Pesto Genovese


Abbiamo detto che il basilico (quello ligure!) ne è il componente principale, assieme ai
pinoli (italiani, non cinesi…). La graziosa piantina ha ispirato un compositore spagnolo,
Luis Araque Sancho (Saragozza, 15 settembre 1914 – Madrid, 16 aprile 1971), che alla
guida della sua orchestra nel 1950 incise su disco a 78 giri per la Columbia di San
Sebastian (n° 14911) un “pasodobles” dal titolo Albahaca (la traduzione spagnola di
“basilico”), della durata di sei minuti. Araque era compositore, direttore, pianista e
medico. Per quest’ultima professione, ottenne un premio importante (“matricula de
honor”) in occasione del baccellierato, ma fu nel campo musicale che conseguì onori e
successi a livello nazionale. La sua passione per il jazz lo portò a comporre brani
strumentali che gli valsero grande notorietà negli Stati Uniti. Purtroppo, la guerra civile
provocò l’interruzione della sua brillante carriera, ma riuscì a riprendersi durante la
seconda guerra mondiale, durante la quale esercitò anche come medico militare. Esiste
un’altra canzone in lingua spagnola, ma argentina, composta intorno al 1953 da César
Perdiguero e Eduardo Falú, dal titolo Albahaca sin Carnaval, per ricordare che in quel
Paese “alla fine del mondo” il basilico è simbolo di Carnevale.

Non poteva mancare un cantautore genovese che decantasse il basilico al punto di
dedicargli un’ode nel 2003: Aldo Scaglia.
Lo Scaglia è anche autore di testo e musica della canzone Il fantasma del ponte
Morandi, a ricordo della tragedia di alcuni anni or sono, e a questo proposito fa
precedere il video (facilmente rintracciabile online) con la seguente dichiarazione:
Non avrei voluto scrivere mai questa canzone, ma anche la musica trasforma le sue
emozioni per raccontare vicende dolorose e assurde come questa. Quello che racconto
è esattamente quello che ho provato, osservando la sera in autostrada (poco dopo
l'ingresso di Genova Ovest) le braccia possenti degli stralli rimasti in piedi, del ponte
Morandi. Buon ascolto

Ode al basilico
Neruda che ha “inventato” la cipolla
è andato a consumare il suo talento
nell’ode di un ortaggio che mi ispira
ad inventar parole a una piantina
che Genova si è scelta per collana
che nelle serre aduna i suoi profumi
già pronti per essere arruolati
da casalinghe esperte di cucina
mazzetti che procedono al mercato
che costano già un occhio della testa
mia madre è Michelangelo al mortaio
denuda l’aglio e al naso è odor di festa
Si narrano le origini lontane
di questa erbacea figlia dell’oriente
già Plinio ne narrava del suo aroma
“basilicum” significa reale
Da sola lei non può fare che niente
gregaria invece esalta il suo valore
avvolta insieme al sardo e un po’ di sale
con l’olio che dirige i movimenti
Si spande si trasforma in un intruglio
capace di destare i sentimenti
uno smeraldo grezzo di piacere
al dito di lunghissime trenette
Così Neruda ha pianto la cipolla
nell’altalena della mezzaluna
io sono stato invece qui a guardare
mia madre per ripetere e copiare
la strofa di antichissime ricette
la donna col suo scialle e mani esperte
e quelle foglioline verde chiaro
che hanno donato al mondo un gusto raro.
Ma non solo i genovesi si occupano di basilico in musica, ma anche (chi l’avrebbe
detto?) i siciliani. E qui incontriamo un mito della canzone popolare dell’isola, cioè Rosa
Balistreri, nata a Licata il 21 marzo 1927 e morta a Palermo, 20 settembre 1990,
cantautrice e cantastorie. In possesso di una voce forte e originale (diciamo pure
“inconfondibile”), le sue interpretazioni erano caratterizzata da una intensa
drammaticità.

A livello personale ebbe una vita travagliata: il suo matrimonio a 16 anni fu combinato,
e, quando il marito perse al gioco il corredo della figlia, dopo aver tentato ad ucciderlo,
senza riuscirvi, andò a costituirsi. Ottenuta la condizionale, fu scarcerata, e, dovendo
mantenere la figlia, per sopravvivere passò da un lavoro all’altro. Una volta, essendo
dipendente di una famiglia, fu accusata di furto e nuovamente incarcerata. Dopo sette
mesi uscì e si trasferì a Palermo, dove lavorò come sagrestana alla chiesa di Santa
Maria degli Agonizzanti, nel centro di Palermo, vivendo nel sottoscala. Molestata dal
nuovo prete, utilizzando i soldi delle elemosine si trasferì a Firenze, dove lavorò come
domestica. Dopo ulteriori gravi fatti che riguardavano una sorella e il suicidio del padre,
visse con il pittore Manfredi Lombardi, ed ebbe perciò l’occasione di entrare nel mondo
artistico conoscendo quali Mario De Micheli, Ignazio Buttitta e Dario Fo, sotto la cui
regia partecipò allo spettacolo Ci ragiono e canto. Si trasferì nuovamente a Palermo.
Assieme ad altri esponenti del folk nel 1974 partecipò a Canzonissima, e svolse
un’intensa attività artistica. Morì a causa di un ictus, ed è sepolta a Trespiano, in
Toscana.
La sua fama la ha portata ad essere iscritta nel registro delle “Eredità immateriali della
Sicilia”, nel capitolo “Libro delle pratiche espressive e dei repertori orali”.
E’ proprio Rosa Balistreri ad interpretare una canzone popolare proveniente da San Vito
Lo Capo, famosa località turistica in provincia di Trapani, dal titolo Lu basilicò, un canto
di autore anonimo composto da quattro strofe, incentrato sull'amore e sul lavoro, che
sono temi ricorrenti nelle canzoni popolari siciliane. La canzone si trova anche nel
Corpus di musiche popolari siciliane (p. 54, n. 90) di Alberto Favara, pubblicato nel
1957, fondamentale raccolta nella storia della musica siciliana.
Anche per Rosa, i temi ricorrenti riguardano le lotte contadine e la conservazione della
cultura siciliana. Molti dei suoi testi hanno come argomento principale feste sacre, come
Lu venniri matinu, o la vita campestre, come, appunto Quantu basilicò.  Rosa si è
sempre schierata dalla parte delle donne e dei lavoratori, e spesso le sue canzoni sono
di protesta. Memorabile è infine l’interpretazione di La barunissa di Carini, canzone che
racconta il tragico fatto di sangue del quale nel XVI secolo fu vittima Laura Lanza di
Trabia, che ha ispirato molti scrittori e poeti, fra i quali Salvatore Salomone Marino nel
1870, compositori (ricordiamo la bellissima opera lirica di Giuseppe Mulè, del 1912), e
gli sceneggiati prodotti dalla Rai nel 1975 con Ugo Pagliai e Janet Agren, e nel 2007
con Vittoria Puccini e Luca Argentero.
Ecco allora il testo (con traduzione in italiano) e le note di Lu basilicò, così come
riportata nel volume del Favara. Da notare che vengono riportate alcune varianti,
fenomeno, questo delle varianti, caratteristico di molta parte dei canti popolari anche di
altre regioni italiane.
QUANTU BASILICÒ (tradizionale)
Quantu basilicò / simini ogni annu / tu mi nn’ha dari / ’na cima a lu jornu. / Ah! si vo’ lu
me’ curuzzu / ti lu mannu / lu to’ mi l’ha mannari / a lu ritornu. / Ah! li carnuzza tua /
ciavuru fannu / ca cu li ciavura / ci passa lu sonnu. / Ah beddu ah! Siddu t’avissi / a me’
cumannu / dumani mi susissi / a manzjornu .

QUANTO BASILICO
Quanto basilico / semini ogni anno / tu devi darmene / un pezzettino al giorno.
Ah! Se vuoi il mio cuore / te lo mando / il tuo dovrai mandarmi / di ritorno. / Ah! Le tue
carni tenere / fanno profumo / che a chi le odora / passa il sonno. / Ah amore mio! ah! Se
ti avessi / al mio comando / domani mi alzerei / a mezzogiorno.
Nicolò La Penna, sul sito www.culturasiciliana.it sottolinea che
il Favara intitola questo canto nell’edizione Ricordi “Santuvitara, canto di San Vito Lo
Capo”. E' un canto d'amore. Basilicò in dialetto siciliano e facilmente traducibile in
basilico. Spesso vasi di basilico venivano un tempo messe nelle finestre delle case dei
siciliani con lo scopo di usarlo in cucina e di godere del profumo intenso di questa
pianta. Veniva donato alle comari in segno di amicizia. Molto belle le parole d'amore che
il fidanzato canta al suo amore.
Arrivederci con gli altri ingredienti in musica: perfino i pinoli hanno ispirato i compositori!

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