Autonomia differenziata, il parere critico di Gigi Cabrino

di Gigi Cabrino

Il CdM ha licenziato il DDL sulla cosiddetta Autonomia Differenziata. Stabilisce che
l’attribuzione delle risorse corrispondenti alle funzioni oggetto di conferimento sara’
determinata da una Commissione paritetica Stato-regione, che procedera’ annualmente
alla valutazione degli oneri finanziari derivanti per ciascuna regione dall’esercizio delle
funzioni e dall’ erogazione dei servizi connessi all’Autonomia, in coerenza con gli obiettivi
programmatici di finanza pubblica e, comunque, garantendo l’equilibrio di bilancio.
E’ solo l’inizio di un percorso che vedrà commissioni romane determinare livelli minimi di
prestazioni e perequazioni tra le varie regioni.
Oggettivamente il traguardo dell’autonomia entro il 2023 sembra difficilmente
raggiungibile.
Ci sono sicuramente alcuni aspetti positivi, la possibilità delle regioni di poter gestire in
proprio alcune materie non è da buttare via , ma l’impianto resta quello di una benevola
concessione da parte dello stato centrale; forse sarebbe meglio parlare di decentramento
piuttosto che di autonomia.
Innanzitutto il rischio è quello che, una volta raggiunta l’autonomia su determinate materie
le regioni che l’hanno ottenuta non condividano le funzioni con comuni e territori; il rischio,
quindi, è di moltiplicare il centralismo statale per tanti piccoli centralismi regionali, ma va
riconosciuto che il DDL prevede la possibilità per le regioni di condividere le funzioni con
gli enti locali.
Il grosso scoglio che non si è voluto affrontare è quello del famoso “residuo fiscale”, quei
circa 120 miliardi di tasse che dalle regioni del Nord vanno allo stato centrale e non
ritornano in servizi , infrastrutture e prestazioni ai territori; e il residuo fiscale è stato
l’argomento determinante della campagna referendaria sull’autonomia in Lombardia e
Veneto nel 2017.
Semplicemente la regione che , dopo lunghe trattative con le commissioni romane,
riuscisse a farsi riconoscere l’autonomia differenziata su una o più materie con legge del
Governo ( che potrebbe in base agli umori e ai “colori” del momento non essere
promulgata), si vedrebbe trasferite dallo stato le risorse che lo stato ha speso per
esercitare quelle funzioni, niente di più niente di meno; lo stato ha speso x nella tal regione
per questa materia, trasferisce x alla regione che ( e se) otterrà di gestirla in proprio.
Tempi lunghi di attuazione , tanta speranza nella benevolenza del governo di turno , che
può essere più o meno sensibile ai temi dell’autonomia, (e quello attuale trainato da un
partito decisamente centralista non pare che lo sia più di tanto) e infine, se tutto va bene
non un euro in più dal residuo fiscale.
Ma non è tutto; visto che il diavolo si nasconde nei dettagli, una potenziale beffa si
nasconde nell’articolo relativo alle misure perequative.
Infatti, in virtù di questo articolo del DDL , le regioni che NON chiederanno alcuna forma di
autonomia si vedranno riconoscere trasferimenti dallo stato ancora maggiori; al riguardo si
possono leggere le osservazioni di Paolo Franco, ex parlamentare della Lega molto
attento ai percorsi legislativi sull’autonomia.
Come dire, non chiedete autonomia e vi diamo più soldi, tanto sappiamo da quali regioni
prenderli.

Al di là di una possibile gestione autonoma di alcune materie, assolutamente da non
disprezzare, il limite di questo DDL è quello, forse obbligato, di ricalcare l’impostazione del
titolo V della Costituzione; non tanto il partire dall’autogoverno dei territori ( dei territori , e
poi, solo dopo, delle regioni) e di conseguenza costruire i necessari percorsi costituzionali,
istituzionali e legislativi, quanto piuttosto una concessione dal centro che comunque non
tocca nessuno dei privilegi di quelle aree che, senza molta responsabilità di spesa , vivono
sul lavoro e sul contributo al bilancio dello stato delle regioni e dei territori più dinamici e
competitivi.
Certo, se le regioni e i territori del Nord iniziassero ad organizzarsi autonomamente, senza
scomodare la Costituzione o il governo di turno, indipendentemente dal colore delle
amministrazioni regionali e locali, con accordi di programma, protocolli d’intesa e
quant’altro, forse si riuscirebbe ad ottenere molto di più.
Dopo il suo insediamento a Sindaco di Torino Lo Russo ha proposto un grande accordo
con Milano e Genova per gli investimenti del pnrr.
I presidenti degli industriali di Genova, Torino e Milano nel capoluogo ligure in autunno
hanno promosso un’intesa per agire uniti di fronte alle sfide della crisi energetica e del
futuro dell’industria.
Gli imprenditori liguri di Confesercenti hanno promosso , con le autorità delle regioni e
delle province confinanti con la Francia un’intesa per attuare l’importante articolo del
Trattato del Quirinale tra Italia e Francia relativo alle autonomie dei territori di frontiera.
Iniziative volte a creare un’azione comune non sono mancate in questi ultimi mesi, da
parte di territori, enti locali e categorie, manca qualcosa di simile da parte delle regioni; se
le regioni del Nord seguissero l’esempio di sindaci ed associazioni di categoria con
opportune intese , forse, si otterrebbe molto di più rispetto a quanto si potrà
ragionevolmente ottenere da questa autonomia che, al massimo, potrà tradursi in un
timido decentramento.

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