La scuola secondo Valentina Petri nel secondo romanzo della scrittrice piemontese

di Guido Michelone
In tutt’Italia la scuola dell’anno 2022-2023 sta ormai volgendo al termine: ancora pochi giorni e si saprà chi sono i
nuovi maturandi. Nell’attesa, ma anche quale compagnia per una bella meritata vacanza ai mari o ai monti, insomma in
giro tra Piemonte e Liguria, vale la pena di mettersi in valigia “Vai al posto” (Rizzoli Editori) secondo libro della
vercellese Valentina Petri, la quale dopo il fortunatissimo esordio di “Portami il diario” (sempre Rizzoli), una sorta di
diario di un anno scolastico dalla visuale della Professoressa, offre il sequel rifacendosi, più o meno
autobiograficamente, alla propria emissione in ruolo nello stesso istituto, che la vede protagonista, solo alcuni mesi
prima, come supplente annuale (ovvero ‘quella nuova’) e ora finalmente ‘Prof’ a tutti gli effetti; le classi, dove insegna
Italiano e Storia, sono una prima, una quarta e soprattutto due quinte frutto di un accorpamento fra l’indirizzo moda
(prevalentemente femminile) e i meccanici (di soli uomini). La vicenda prosegue quindi con le tipiche situazioni di un
Istituto superiore di provincia, dove i problemi cronici della scuola italiana si ripetono da lustri, decenni, forse secoli,
magari attutiti rispetto ai drammi delle metropoli, indubbiamente avvertibili da chiunque lavori a scuola con
l’aggravarsi di un decadimento in forma, sostanza, disciplina, cultura, a cui è arduo oppure rimedio, se non con il buon
senso e la buona volontà degli insegnanti medesimi: e in tal modo, l’autrice è prontissima a osservare e a criticare tanto
le pessime abitudini di studenti pigri, svogliati, volgari, quanto gli intoppi burocratici di un sistema anacronistico che
non è al passo coi tempi sotto il profilo organizzativo- gestionale e soprattutto pedagogico. Per raccontare la scuola,
Valentina Petri – figlia di buone letture e molteplici interessi – usa benissimo i registri dello humour freddo (e talvolta
caldo) sotto un duplice aspetto: da un lato offre una prosa giovanile, simpatica, estroversa, post-moderna nel mescolare
l’alto il basso o nelle frequentissime disparate citazioni (letterarie, cinematografiche, televisive, musicali, pubblicitarie,
eccetera), dall’altro usa la doppia arma dell’ironia nei confronti dei propri ‘oggetti’ corali (allievi e colleghi, caricaturati
fin dai buffi soprannomi )e dell’autoironia verso il ‘soggetto’ principale (cioè se stessa), in una sorta di autocelebrazione
comica, grottesca, accattivante (non senza tenerezze e romanticismi in alcuni punti), che diventa in fondo un
monumento alla figura della docente di Lettere, quale unica vittima sacrificale in una scuola che pare sempre più
‘commedia’, ma molto poco anzi per nulla divina.

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